venerdì 3 settembre 2010

La Setta di Toro Farcito


Questa ve la devo proprio raccontare.
Lo scorso fine settimana me ne vo bel bello a fare il giro delle librerie preparandomi di buona lena a compiere un'operazione a cui tutti gli editori e redattori si dedicano normalmente in quella sede (ovviamente senza che nessuno lo dichiari mai apertamente, dato che si tratta di una cosa vergognosa): controllare se i volumi della tua casa editrice sono esposti in maniera visibile, fare la conta delle copie vendute rispetto alla settimana precedente, verificare se una volta esauriti i libri sono stati riordinati, e, in definitiva, fare un po' incazzare i librai estraendo i volumi che erano finiti dietro l'Enciclopedia Britannica per portarli diligentemente in primo piano, possibilmente davanti a quelli della concorrenza. Il tutto, poco prima del passaggio di un esponente della concorrenza che irrimediabilmente compirà la medesima operazione, come da manuale, ponendo il suo libro davanti al tuo.
E' una lotta all'ultimo volume, e capita spesso che due rivali si incontrino in questa circostanza: se vi capita, avrete la discutibile fortuna di assistere a una sorta di duello western, in cui il più veloce dei due riesce a posizionare meglio e più in vista il suo libro. La Regola Mai Detta vuole che il vincitore abbia diritto al posto migliore sullo scaffale, e che lo sconfitto abbandoni il campo con onta, senza protestare, almeno fino alla settimana successiva.
Fate la verifica: se – in una libreria o fumetteria italiana – vedete un libro di Kappa Edizioni o Ronin Manga esposto in bella mostra davanti a qualsiasi altro, potete stare certi che poco prima sono passato io in incognito e l'ho sistemato a dovere. E' un lavoro duro, anche perché bisogna sviluppare il potere dell'ubiquità, ma qualcuno lo deve pur fare. Lo stesso dicasi per i libri altrui, ovviamente.
Ebbene, mentre mi occupavo di questa fondamentale operazione di marketing e promozione non retribuita, vengo sorpreso da un lettore-amico che per qualche ragione mi capita normalmente di incrociare solo a Lucca Comics, e di cui tutelerò l'anonimato qui di seguito chiamandolo con uno pseudonimo.
Sì, sei salvo, ma solo per ora, sappilo.
Ebbene, Conunopseudonimo mi avvicina tutto contento per annunciarmi che, tornato dalle vacanze, si è letto Dance in the Vampire Bund e che gli è piaciuto da morire, e che con i suoi amici sta discutendo se sia meglio il manga o l'anime. Diplomaticamente non commento, anche perché a me sono piaciuti tutti e due.
Poi a un certo punto lo vedo fare un mezzo sorrisetto di sbieco, mentre mi punta l'indice sotto il naso e lo fa ondeggiare su e giù, come quando la nonna mi rimproverava bonariamente perché mi aveva scoperto a rubare la marmellata dal vasetto nascosto in alto nella dispensa.
Mi rassegno alla ramanzina. Cos'avrò fatto, questa volta? Mi guardo le mani: non sono sporche di marmellata. Forse sono salvo.
E invece no.
«Certo però che siete un po' troppo girellari, voi.»
Dato che non sono abituato al plurale maiestatis, mi guardo intorno, ma verifico che effettivamente lì ci sono solo io. Sono quasi lusingato, ma poi mi rendo conto che il "voi" è sicuramente riferito a me e ai miei colleghi/soci/amici/parenti kappeschi, Barbara Rossi, Massimiliano De Giovanni e Andrea Pietroni. Siamo in gruppo anche quando siamo sparsi per mezza Italia, a quanto pare.
«Siamo cosa?» chiedo.
«Girellari. Non dirmi che non sai cosa vuol dire, dai», mi apostrofa dandomi quasi di gomito.
No, non so cosa vuol dire, e inizio a sentirmi in imbarazzo. Fare questo lavoro ti dissocia spesso dalla realtà, anche a causa degli orari balzani e dal fatto che lavori poco spesso a contatto con la gente. Le prime cose che mi vengono in mente sono il ministro Brunetta e i suoi amati tornelli negli stadi, poi mi passano davanti immagini di girovaghi venditori ambulanti di altri tempi, e infine quella specie di trespolo con le ruote in cui ci infilavano da bambini per farci andare a zonzo per la casa quando ancora non avevamo imparato a camminare.
Nessuna di queste immagini mi evoca nulla che possa riguardare me e gli altri Kappa.
Mi vede smarrito, e mi dà un aiutino, come quello che chiede la massaia telefonando al quiz tivvù quando la interrogano sul nome del personaggio più famoso interpretato dall'attore scozzese Sciònconneri.
«Dài, che ne mangiavate parecchie di girelle, da bambini!»
Ah, ecco. Girellaro: "persona che si nutre o si è nutrita in abbondanza di girelle". Ora è tutto chiaro. Sono preparato.
«Be', sì, in effetti a me piaceva molto, ma anche la Fiesta non era male. Quando poi è apparso il Tegolino, le mie priorità sono cambiate improvvisamente. Colpa del Piccolo Mugnaio Bianco e di quella gnoccona di Clementina, che nessuno poi ha mai capito come avrebbero potuto…»
Vedo che Conunopseudonimo mi guarda deluso. Non era una discussione nerdiana su quali fossero le migliori merendine degli anni Settanta, né sugli spot pubblicitari dell'era post-Carosello. Fra l'altro, lui è di quindici anni più giovane di me, per cui può essere che faccia parte della generazione del Pinguì, e non sia dunque a parte delle prelibatezze legate ai Sapori Naturali Benché Chimici di Una Volta.
Mi spiega che chiamasi "girellaro" una versione di otaku nostrano appassionato solo di cose del passato remoto, anni Settanta-inizio Ottanta, per la precisione, e che fa orecchie da mercante a tutto quel che c'è di nuovo nel campo dell'animazione e del fumetto.
Continuo a chiedermi se c'entri effettivamente la Girella (la merendina di Toro Farcito), ma evito di esporre il mio dubbio, col timore di stare a questionare su quella che per lui pare un'ovvietà. A rigor di logica, la Girella assurge in questo senso al ruolo di emblema araldico pre-otakuista, dando origine in sé a una sorta di spartiacque generazionale, almeno nella terminologia del fandom più coinvolto. Decido di dare ciò per scontato, e di provare a seguire il ragionamento successivo. Nel caso in cui la mia ipotesi fosse sbagliata, avrei modo di scoprirlo senza fare figuracce e ritornare in carreggiata con qualche manovra verbale.
«Sì, insomma, ormai pubblicate solo girelle…» dice Conunopseudonimo. «Niente novità, sempre i soliti quattro o cinque generi, sempre gli stessi autori, sempre la roba per fan d'annata…»
Sono disorientato. Benché la mia ipotesi fosse azzeccata, c'è qualcosa che non mi torna.
Gli faccio notare con una punta d'imbarazzo che tutto quello che stiamo pubblicando è stato realizzato nel primo decennio degli anni Duemila, a parte Baron che è del '98 (del millennio scorso, effettivamente). E che sono quasi tutti autori mai apparsi prima sul suolo italico.
«Sì, ma state annunciando anche una marea di roba girellara, e poi fate una marea di yaoi.»
Ci passa di fianco una tipa caruccia, la quale ci guarda col tipico disprezzo di chi sta per pronunciare l'umiliante "get a life!": ci rendiamo conto che siamo nella zona-paria della libreria, tra i famigerati fumetti, e stiamo usando termini incomprensibili all'Uomo Comune. Inoltre il nostro look testimonia in maniera decisamente sfavorevole nei nostri confronti, e richiama con tragica fedeltà quello dei protagonisti di The Big Bang Theory (che sicuramente lei non segue). Per alcuni secondi, io tiro in dentro la mia pancia, lui raddrizza la sua gobba, e fingiamo di essere soggetti con cui lei potrebbe - volendo – scegliere di accoppiarsi. Anche gli otaku hanno il testosterone. Il quale, normalmente, se ne sta in un angolo a giocare con la PlayStation o il Wii, ma comunque è lì, virtualmente disponibile all'occorrenza.
La tipa ci oltrepassa in velocità come per allontanarsi dalla carcassa in decomposizione di uno gnu.
Pance e gobbe riappaiono come per incanto. Il testosterone torna alla console e mette su una nuova versione di SuperMario.
Faccio un veloce controllo nell'archivio mentale, e non mi risulta che abbiamo annunciato nessuna "roba girellara", e se anche fosse non vedo il problema. Inoltre, di yaoi ne pubblichiamo uno o due al mese, su un totale di dieci-quindici uscite. Siamo intorno al dieci percento, per cui non mi pare un'invasione. Ma dato che non mi pare il caso di discutere, abbozzo timidamente con un «eh, be', sai com'è» di circostanza.
«E dai, siete girellari nell'anima. Anche Giant Robot lo avete adattato girellaro…» ammicca sornione, come se mi avesse colto con le mani nel sacco.
Torno a pensare che forse allora 'girellaro' non è quello che mi ero immaginato. Negli anni Settanta-Ottanta Giant Robot in Italia non c'era, e la prima volta che si è visto è apparso negli anni Novanta, e per giunta nel remake animato di Imagawa, in una serie molto innovativa. No, 'girellaro' forse non è qualcosa legato al passato storico/nostalgico degli anime in Italia. Dev'essere qualcos'altro che non ho ancora capito. Boh, stiamo a sentire.
«Potevate almeno evitare di usare i nomi della serie animata, dai!»
Altro veloce controllo mentale. Ormai è ufficiale: 'girellaro' non significa proprio quella cosa là, a quanto pare. Il manga che abbiamo pubblicato noi utilizza i nomi della versione originale giapponese, anzi, siamo stati talmente fedeli che abbiamo usato per i personaggi addirittura la traslitterazione cinese, quella originale pensata dal compianto Mitsuteru Yokoyama, distaccandoci così da qualsiasi altra versione mai vista prima.
Mi sorbisco il cortese rimprovero in silenzio, evitando di questionare per poter tornare al più presto alla mia attività tra gli scaffali.
«Dai, va là, comunque siete bravi. Me ne sto leggendo volentieri due o tre delle vostre serie. Anche Giant Robot non è male, a parte le girelle.»
Conunopseudonimo mi saluta, riappoggia sullo scaffale il volumetto (della concorrenza) che aveva in mano (ponendolo davanti a uno dei miei, il che che mi costringe con mossa fulminea a ristabilire l'Ordine) e si allontana dandomi appuntamento a Lucca o comunque 'in giro'.
Sovrappensiero continuo a riordinare lo scaffale secondo i miei parametri dispotico-assolutistici, ripromettendomi di consultare qualcuno sul vero significato del termine 'girella' e 'girellaro', che a quanto pare non ho proprio capito. Inizio a temere qualcosa alla H.P.Lovecraft, tipo sette segrete che organizzano riti indicibili per l'avvento della Grande Girella e del suo sommo sacerdote, Toro Farcito.
Lo stato ipnotico in cui mi trovo a pensare si rivela ben presto una leggerezza eccessiva da parte mia. Una commessa mi sta squadrando con odio perché sto vanificando tutto il suo lavoro della settimana appena trascorsa.
Grazie all'Arte dell'Invisibilità Nerd fingo di non essere realmente lì, e giro intorno all'obelisco-espositore eretto in onore di Stephenie Meyer, svanendo lentamente ma inesorabilmente alla vista della commessa.
Mentre mi allontano, tenendo d'occhio il suo disorientamento tra gli interstizi dello scaffale che ci separa, un'enorme ombra a forma di spirale cioccolatosa prende a materializzarsi sopra la libreria.
Fuggite o impazzite, o stolti. La Grande Girella è già fra noi, e la sua reale essenza è ancora un mistero per tutti.
Conunopseudonimo incluso.

P.S.: il vero nome di Conunopseudonimo è Michele.